Come ogni sera, dopo aver fatto il giro dei suoi terreni per controllare il lavoro della giornata, Don Mario indicava il cielo, mostrava al suo autista o al suo accompagnatore l’Orsa Minore e poi diceva: “Guarda che splendore”. Non si curava degli sbadigli accanto a lui e continuava a contemplare, prestando i suoi occhi e la sua voce a Leopardi, in un dialogo con la sua “O graziosa luna”.
Domenico Mario Logroscino, fondatore dell’ente “Leopardi nella sua luce”, era anche questo. Anzi, forse era soprattutto questo: un grande uomo di cultura e al contempo una persona vicina ai lavoratori e ai suoi collaboratori più di quanto fosse ai suoi pari. “Era uno di loro ma non era come loro”, ci racconta l’avv. Giuseppe Dipierro. È proprio lui a volerci mostrare il volto inedito, umano e profondo, dell’uomo Mario Logroscino, per averlo conosciuto da vicino da quando, appena 13enne entrò nel palazzotto nel cuore di Noicattaro dove viveva il nobile signore.
Da molti nojani Don Mario era additato come “distante”, “riservato”, “schivo”, per qualcuno “misogino” e persino “folle”. Beh, chi del resto avrebbe mai potuto donare tutto il suo immenso patrimonio per costituire una Fondazione intitolata a “Leopardi nella sua luce”? A Putignano, poi. Che c’entrava lui con Putignano?
Eppure, l’avv. Dipierro ha un’altra storia, un altro uomo da raccontare e da mostrarci.
“Di sicuro era lucidissimo fino alla fine, e di grandissima cultura umanistica e scientifica; e non odiava affatto le donne, ne parlava sempre bene, semplicemente non si era mai sposato perché “voleva essere libero”. Con la società di Noicattaro era schivo sì, certo, ma per scelta”.
Il giovane Giuseppe Dipierro ha avuto l’occasione di vivere con Don Mario proprio nei suoi ultimi anni di vita, inizialmente accolto nella vita di palazzo come semplice aiutante: “per leggere e scrivere il brogliaccio del lavoro per l’impossibilità di Don Mario di farlo autonomamente avendo un problema alla vista”. E poi rimasto “per far compagnia” agli anziani membri della famiglia Logroscino: “Avevo il compito di leggere tutte le sere un capitolo de “I promessi sposi” a Donna Elvira, mamma di Mario, e lui – Don Mario - origliava tutto il tempo per correggermi, interveniva se sbagliavo una pausa o l’intonazione perché, diceva, se non leggi bene non si capisce il senso”. E tutto ciò avveniva mentre l’anziano papà Giovanni Logroscino, ormai ultranovantenne, leggeva chino alla sua scrivania posta ai piedi del letto della moglie. In una casa dove la tecnologia non era arrivata, non c’era la lavatrice né la televisione, solo una radio in camera da letto.
Dipierro ci mette di fronte ad una delle tante istantanee di una vita passata. In un palazzo nobile. Circondato da cultura ed atmosfera di un tempo antico che mai più tornerà. Eppure ancora pienamente vivo nei ricordi di Dipierro, oggi più che mai animato dal desiderio di far conoscere chi era Don Mario Logroscino e sgomberare così il campo dai malintesi che si sono susseguiti attorno ad un uomo diventato personaggio di sfondo nella storia di un territorio ed in quella di una Fondazione da egli stesso ispirata e finanziata.
Don Mario era un uomo elegante, vestiva con stile classico e curato, fino nei dettagli: “abiti di sartoria su misura, camicie con gemelli ai polsini, - ricorda Dipierro - orologio d’oro con catenella infilato nel taschino del gilet, giacca, cravatta con nodo trasversale “all’inglese”, e scarpe testa di moro”. E parte proprio dalle scarpe, Dipierro per mostrarci un altro lato di Logroscino: “Ci teneva all’eleganza e infatti calzava scarpe testa di moro, ma aveva sempre pronti degli scarponcini tipo militari per andare nei terreni”.
Con i familiari aveva rari contatti, visite sporadiche, e ancora meno con il ceto alto di Noicattaro, i suoi pari. Si teneva alla larga dagli amministratori, “ex fascisti riciclati democristiani”, li definiva. Lui, da sempre liberale e profondamente antifascista, agnostico, ricordava bene quando quelle stesse persone gli avevano ricoperto i muri del palazzo con il volto del Duce. Il racconto di Dipierro è preciso: “Don Mario mi raccontò che quando cadde il fascismo, lui giovane possidente, cominciò ad organizzare nel suo palazzo degli incontri di cui vennero a conoscenza i fascisti del paese che subito soppressero le riunioni e stamparono e affissero sulla facciata del palazzo manifesti con il volto di Mussolini, per fargli capire chi comandava. Queste persone che all’epoca erano fasciste poi diventarono democristiani e lui per questo ha sempre tenuto le distanze dalla vita sociale e politica di Noicattaro. Era volutamente distante dalla società dirigente del paese e per questo a Noicattaro non era ben visto”.
Lontano dai potenti, quindi, ma vicino ai lavoratori. Gli unici che considerava. E che vedeva assiduamente. Ogni sera nel palazzo arrivavano i suoi operai, li pagava, si confrontava sul lavoro fatto e da fare l’indomani, parlava con loro seppure senza poter dialogare di cultura. Quella la conservava per il suo diletto. Facendo entrare nel suo mondo di storia, poesia, letteratura e filosofia anche quel giovanotto che gli faceva compagnia.
“È stato il mio unico e vero Maestro”, racconta ancora. Eppure per il giovane “Peppino”, come lo chiamava Don Mario, quell’uomo è stato tanto e più di un semplice Maestro. Dialogava con lui di letteratura e filosofia dimostrando una cultura ampissima che toccava anche la matematica e ogni sfera logica. Lasciando a bocca aperta quel ragazzino che sedeva nel salotto accanto a lui. “Con Leopardi poi, andava in estasi – ricorda ancora Dipierro – quando commentava le sue poesie sembrava creare una forte empatia fra il poeta e sé stesso”. Dipierro poi ricorda quando lo aiutava con i compiti: “Se per seguirlo nelle sue faccende ero rimasto indietro nello studio per la scuola, mi aiutava, dettandomi per esempio, così, a mente, tutta un’equazione algebrica”. Senza contare quando “mi forzava ad imparare a memoria tutte le poesie di Leopardi ed ogni volta che ne imparavo una mi dava un lenzuolo da 10mila lire”.
Lei che lo conosceva così bene, cosa pensa della donazione del patrimonio di Logroscino ad un ente di Putignano per la costituzione una Fondazione intitolata al Leopardi? “Ogni domenica tornando dal giro dei suoi terreni a Fasano, per abitudine ci fermavamo a Putignano: comprava prodotti caseari e poi ci fermavamo a gustare una granita di caffè con panna al bar Carlino. E ogni volta, seduti a quel tavolino, mi diceva: “Guarda come è bella Putignano”. Era proprio innamorato della cittadina e ammirava i suoi amministratori. Secondo me in questo amore dichiarato per Putignano e la contestuale avversione per gli amministratori di Noicattaro da cui si sentiva vessato, sta la vera ragione della sua donazione. Leopardi poi era la sua passione e credo proprio che il nome scelto mostri chiaramente la sua volontà di dare “luce” ad un poeta che meritava grande attenzione”.
E come Don Mario voleva dare lustro al suo Leopardi, l’avv. Giovanni Dipierro desidera oggi ri-dare “luce” al suo Maestro ancora impresso nel cuore e nella memoria.
Rossana Paolillo
Staff Comunicazione "Fondazione Leopardi nella sua luce"